OMT e Dolore cronico diffuso

Ricerca e scienza

“Preventing progression from chronic to widespread pain and its impact on health-related quality of life: a historical cohort study of osteopathic medical care” Licciardone J.C. (2021) J Osteopath Med.

Nonostante il dolore rappresenti una delle esperienze umane più comuni, negli ultimi decenni esso ha costituito, in maniera progressivamente crescente, uno dei maggiori rebus a cui la comunità scientifica ha tentato di dare risposta. A partire dalla seconda metà del ventesimo secolo, abbiamo assistito ad un aumento esponenziale delle risorse rivolte allo studio dei meccanismi fisiopatologici del dolore, sia in ambito medico clinico che di ricerca scientifica, sforzi concretizzatisi nello sviluppo di istituti rivolti alla diagnosi e alla terapia del dolore da un lato, e di un numero sempre crescente di lavori scientifici dall’altro. Tale cambio di rotta non è stato certamente casuale, ma ha rappresentato piuttosto la diretta conseguenza di un aumento costante dell’incidenza di sindromi somatiche funzionali e della parallela necessità di individuare e proporre una terapia efficace a tali disturbi. I dati infatti parlano chiaro, e tra le problematiche più comuni per cui viene richiesta una visita medica troviamo proprio il dolore cronico.

Nello specifico, si stima che negli USA circa il 20.4% (50 milioni) della popolazione adulta presenti dolore cronico, di cui l’8% (19.6 milioni) mostrerebbe un dolore cronico ad elevato impatto, definito come un disturbo in grado di limitare in maniera significativa la vita familiare e/o lavorativa per un periodo non inferiore ai 6 mesi. E’ facile a questo punto comprendere la portata dell’impatto socio-economico che una tale problematica può rivestire, in maniera particolare nella società occidentale in cui viviamo e in cui l’incidenza del dolore cronico risulta particolarmente elevata e in costante ascesa. La parziale invalidità indotta dal dolore cronico tende tuttavia ad aumentare quando questo non si limita ad una singola struttura corporea, ma arriva a coinvolgere l’intero organismo. In questi casi siamo in presenza di un dolore cronico diffuso, in cui solitamente ai sintomi algici muscoloscheletrici si vanno a sovrapporre disturbi di tipo gastroenterico, disordini riguardanti la sfera psicoemotiva (stati d’ansia, depressione) e altre espressioni sintomatologiche sistemiche (stanchezza cronica, difficoltà di concentrazione e memoria), aspetto questo che contribuisce ad inquadrare spesso il dolore cronico ed i fattori psicosociali correlati quale unica entità nosologica. Il quadro sintomatologico appena presentato è quello che viene associato, perlomeno negli ultimi anni, a disturbi di tipo fibromialgico.

Mentre negli anni ‘90 si è proposto l’utilizzo dei soli sintomi muscolo-scheletrici e della presenza di almeno 11 tender points su 18 individuabili nel paziente ai fini della diagnosi di fibromialgia, a partire dal 2010 i criteri diagnostici hanno subito delle modificazioni, sostituendo la ricerca delle zone dolenti muscolo-scheletriche alla presenza di dolori somatici diffusi a livello sovra e sotto-diaframmatico e di sintomi associabili a disturbi psichici e cognitivi identificabili in quella che viene definita Fibro-Fog (“nebbia cognitiva”).

Osservando il dolore cronico diffuso da questa prospettiva, è chiaro che l’approccio terapeutico rivolto al paziente con tali caratteristiche non può prescindere da una visione salutogenica globale e da una gestione multidisciplinare e a 360° della persona. Il paradigma biomedico/riduzionista e la terapia rivolta alla componente patologica e sintomatologica lasciano quindi spazio ad una gestione nel lungo termine sia delle singole componenti fisiologiche di regolazione omeostatica e del loro eventuale sovraccarico allostatico, che degli aspetti di stampo maggiormente psicosociale, i quali includono la valutazione della componente psicologica ed emotiva del soggetto, le sue aspettative, le sue credenze e il rapporto con il contesto sociale in cui è inserito. In una dimensione biopsicosociale di questo tipo, trova senza dubbio terreno fertile la medicina osteopatica, in virtù di un approccio olistico e salutogenico costruito su misura del singolo paziente, piuttosto che della sua patologia.

Una premessa (purtroppo) lunga, ma necessaria, per arrivare a comprendere la reale portata dei risultati ottenuti da uno studio recentemente pubblicato sul Journal of Osteopathic Medicine. Il lavoro di Licciardone ha confrontato infatti gli effetti del trattamento manipolativo osteopatico con quelli della medicina allopatica negli USA per ciò che riguarda l’evoluzione del dolore cronico. I risultati, ottenuti dall’analisi di un campione composto da 462 partecipanti con lombalgia cronica, evidenziano come i soggetti sottoposti a OMT siano andati incontro ad una riduzione del rischio di sviluppare dolore diffuso in un arco temporale di 12 mesi rispetto a quelli non trattati, mentre i soggetti con dolore cronico diffuso sottoposti a trattamento osteopatico hanno mostrato una ridotta severità dei livelli di dolore rispetto al gruppo associato alla medicina allopatica.

L’autore dello studio ha indagato un ulteriore outcome, riguardante l’impatto del dolore sul livello di benessere del paziente, attraverso il sistema di valutazione psicometrica Promis-29 (Patient-Reported Outcomes Measurement Information System), finalizzato a quantificare le 7 dimensioni associate alla qualità della vita (HRQoL, Health-Related Quality of Life). Le dimensioni prese in considerazione riguardano: condizione fisica, ansia, depressione, fatica, disturbi del sonno, partecipazione alle attività sociali e interferenza del dolore sulle attività quotidiane. I pazienti inseriti nel gruppo OMT hanno riportato valori migliori per ognuno dei parametri analizzati rispetto ai pazienti trattati con approccio allopatico. Nello specifico, le differenze riscontrate tra i due gruppi sono risultate statisticamente significative e clinicamente rilevanti per tutti i parametri analizzati, eccetto per la fatica.

Come riportato dallo stesso autore, i dati ottenuti dimostrano chiaramente come il trattamento osteopatico debba essere considerato una componente rilevante all’interno dell’iter terapeutico specifico per il paziente con dolore cronico localizzato o diffuso, in quanto in grado potenzialmente di limitarne l’evoluzione, ridurne la severità dei sintomi e incrementare il livello della qualità della vita della persona.

Una delle possibili spiegazioni avanzate dall’autore riguardo i risultati ottenuti dall’OMT rispetto a quelli associati alla medicina allopatica, si basa sull’osservazione secondo cui la medicina osteopatica, a differenza di quella tradizionale, focalizza l’intervento terapeutico in maniera olistica e personalizzata sull’individuo e sulla sua capacità di adattamento fisiologico, piuttosto che sulla risoluzione del singolo sintomo o del disturbo specifico. Con ogni probabilità, giocano un ruolo estremamente rilevante anche tutti quei fattori aspecifici, di tipo contestuale e comunicativo, in grado di potenziare i meccanismi neurali associati al placebo. Si tratta di aspetti e capacità trasversali che non riguardano la medicina osteopatica in maniera elettiva, ma che senza dubbio devono rientrare all’interno delle skills possedute dal clinico, in quanto imprescindibili ai fini di un’efficace gestione terapeutica del paziente, soprattutto nel caso in cui questo presenti dolore cronico e fattori di rischio psicosociali (chinesiofobia, catastrofizzazione, comportamenti di evitamento, disuso, ipervigilanza al dolore).

Alcuni studi dimostrano infatti come i pazienti trattati osteopaticamente riferiscano un maggior grado di empatia ed un livello di comunicazione e interazione medico-paziente più soddisfacente rispetto a quello riscontrato con la medicina allopatica tradizionale, probabilmente in virtù di una maggiore disponibilità del terapeuta in termini di tempo e comunicazione e del ruolo comunicativo e interocettivo esercitato dal tocco manuale.

In conclusione, la possibilità di riuscire a limitare o interrompere l’evoluzione del dolore cronico attraverso il trattamento osteopatico equivale a fornire una valida soluzione terapeutica, complementare e integrata con l’approccio medico-farmacologico e con interventi di tipo nutrizionale e cognitivo-comportamentale, in grado di ridurre il carico nocicettivo, e quindi interocettivo, del paziente. Il miglioramento dello stato interocettivo tuttavia non si limita alla sensibilità dolorifica, ma coinvolge l’intero spettro delle modificazioni metaboliche e omeostatiche dei tessuti corporei, con conseguente impatto per via neurologica e umorale sul network interocettivo cerebrale e sulla conseguente percezione del sè e dello stato emotivo da parte del paziente. La portata di tali risultati è senza dubbio più vasta di quanto possa apparire in un primo momento, in quanto la presenza di dolore cronico diffuso non riguarda esclusivamente i pazienti fibromialgici, ma tende a coinvolgere e riguardare una vasta gamma di disturbi cronici con origine medica sconosciuta, quali la sindrome da fatica cronica, la dispepsia funzionale, la sindrome del colon irritabile e il disturbo da stress post-traumatico, che sembrano condividere sintomi vaghi e aspecifici (stanchezza, disturbi del sonno, disordini gastroenterici, disordini emozionali e cognitivi, sintomi autonomici) e meccanismi fisiopatologici di base (sensitizzazione centrale e disregolazione assi SAM e HPA) e che vanno inquadrati sotto la più ampia famiglia delle sindromi somatiche funzionali. Sindromi che già da tempo sappiamo rispondere positivamente all’approccio osteopatico, ma che negli ultimi anni sembrano trovare solide conferme ed una base incoraggiante anche in ambito scientifico.

Sono laureato in Scienze motorie, Sportive e della Salute e diplomato con lode in Osteopatia presso AbeOS Osteopathy School. Lavoro come osteopata iscritto al R.O.I. presso uno studio privato a Porto Potenza Picena (MC) e collaboro con AbeOS in qualità di Head Department del Dipartimento di Ricerca, assistente di osteopatia strutturale, membro del Team GAS e osteopata della Nazionale di Canottaggio della Romania.


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