Sovraccarico allostatico: ruolo evolutivo e applicazione nella società moderna

Ricerca e scienza

di:

staff docenti e assistenti Scuola di Osteopatia AbeOS

Un numero sempre maggiore di patologie viene associato, in misura variabile, alla presenza di episodi stressanti particolarmente importanti o prolungati nel tempo. Malattie cardiovascolari, patologie autoimmuni e disturbi psicologici sembrano essere alcuni dei disordini maggiormente legati a condizioni di sovraccarico allostatico. Facciamo però un passo indietro e cerchiamo di comprendere cosa si intende per meccanismo allostatico.

L’allostasi viene definita come il tentativo, da parte dell’organismo, di mantenere la stabilità omeostatica attraverso il cambiamento. In condizioni in cui le richieste ambientali impongono un adattamento al corpo, il processo allostatico interviene per mantenere stabili alcuni parametri fisiologici fondamentali, quali la temperatura corporea, il pH, la glicemia e la tensione di ossigeno. Il fenomeno è basato principalmente sul rilascio di glucocorticoidi, catecolamine (adrenalina e noradrenalina) e citochine e prende nomi differenti a seconda del grado di cronicità. Parleremo quindi di carico allostatico per indicare un aumentato rilascio dei mediatori mantenuto per brevi periodi, mentre lo stesso processo verrà definito sovraccarico allostatico nel caso in cui tale rilascio sia protratto per tempi eccessivamente lunghi.

I termini carico e sovraccarico allostatico furono coniati da McEwen nel 1993, il quale cercò non solo di dare loro una definizione accurata, ma ne fornì anche una spiegazione dal punto di vista evolutivo. Egli sostiene che l’attivazione dei meccanismi allostatici dipenda dal bilancio complessivo di energia a disposizione dell’organismo e, indirettamente, da tutti quei fattori in grado di modificare la quantità di energia richiesta dal corpo o quella che l’ambiente è in grado di offrirgli. In sostanza, McEwen riduce le dinamiche allostatiche ad una semplice equazione, semplificazione eccessivamente lineare viste le variabili in gioco, ma che senza dubbio risulta efficace da un punto di vista didattico.

                                                        Ee + Ei + Eo = Eg

Le variabili che compongono l’equazione possono essere riassunte in questo modo:

Ee = Energia di base necessaria a mantenere l’omeostasi

Ei  = Energia necessaria al corpo per adattarsi ad eventi ambientali prevedibili

Eo = Energia necessaria al corpo per adattarsi ad eventi ambientali non prevedibili

Eg = Energia disponibile nell’ambiente

Indipendentemente dalle attività che si ritrova a svolgere, l’individuo ha bisogno di un certo quantitativo di energia (Ee) per permettere la corretta regolazione dei parametri omeostatici entro i limiti fisiologici necessari a garantire la sopravvivenza.

A questo punto interviene il contesto ambientale in cui egli vive, ambiente che chiaramente va incontro a determinate modificazioni nel corso del tempo. Un esempio è dato da quelli che McEwen definisce eventi prevedibili, come il ciclo circadiano o quello stagionale, che richiedono all’individuo una parziale attivazione allostatica al fine di adattare i parametri interni alla situazione specifica (Ei). Gran parte degli animali, infatti, presenta livelli di glucocorticoidi in circolo maggiori durante il periodo invernale, stagione in cui le modificazioni atmosferiche contribuiscono non solo a limitare la disponibilità di cibo in natura, ma al tempo stesso rendono più difficoltosa la ricerca di alimenti e di un riparo da parte dell’animale. In un contesto simile, i glucocorticoidi e le catecolamine svolgono un’azione adattativa in fase acuta, in quanto permettono di aumentare i livelli di glucosio nel circolo ematico e svolgono un’azione a livello dell’ipotalamo, funzionale allo stimolo della fame e al successivo movimento finalizzato alla ricerca del cibo.

Un altro esempio che ci riguarda più da vicino, basato questa volta su un ritmo di tipo circadiano, è quello associato all’andamento della secrezione del cortisolo durante la giornata, anch’esso espressione del fenomeno allostatico in risposta ad eventi considerati prevedibili.

Oltre alle classiche modificazioni cicliche prevedibili, possono entrare in gioco anche eventi non prevedibili, legati ad esempio a calamità naturali, malattie o lesioni invalidanti e status sociale. A questo punto, l’animale è chiamato ad incrementare l’attivazione allostatica e l’associato livello di energia richiesto al corpo (Eo) per poter portare avanti la ricerca del cibo.

Fino a quando l’energia consumata dall’individuo (Ee + Ei + Eo) sarà pari o inferiore a quella che l’ambiente mette a disposizione (Eg), l’organismo sarà in grado di ottenere il cibo di cui ha bisogno attraverso l’attivazione acuta o subacuta dei propri meccanismi adattativi, condizione che come abbiamo visto va sotto il nome di carico allostatico.

Al contrario, il problema sorgerà nel momento in cui tale attivazione allostatica verrà protratta in maniera cronica a causa di un bilancio sfavorevole all’animale, dovuto alla riduzione di cibo disponibile (Eg) o alla presenza di eventi non prevedibili particolarmente limitanti (Eo).

Ci ritroviamo così in quello che McEwen chiama sovraccarico allostatico di tipo 1, in cui la ridotta energia a disposizione determina un rilascio cronico di catecolamine e glucocorticoidi. Tali sostanze, sebbene siano estremamente funzionali in fase acuta, nel lungo periodo portano alla comparsa di patologie severe, soprattutto di tipo cardiovascolare e metabolico, quali il diabete di tipo II, l’aterosclerosi e l’infarto miocardico. Questo meccanismo viene in parte tamponato dal corpo riducendo il consumo di energia legato a comportamenti temporaneamente non necessari, come ad esempio la riproduzione. In particolare, una percentuale di grasso corporeo eccessivamente bassa nel sesso femminile predispone ad una condizione conosciuta come amenorrea secondaria (assenza di mestruazioni in donne che non hanno mai sofferto in passato di irregolarità legate al ciclo), evento frequente tra le ragazze che praticano l’atletica leggera, in cui l’elevato carico metabolico legato allo sport porta ad una riduzione importante della massa grassa, necessaria tuttavia per permettere una corretta gravidanza.

Ora, è facile comprendere come una situazione simile di scarsità di cibo sia decisamente irreale nella società industrializzata in cui ci troviamo a vivere. L’ambiente che ci circonda, in cui i supermercati e i centri commerciali hanno preso il posto delle piante e degli animali selvatici, è in grado di fornirci un quantità di energia estremamente maggiore rispetto a quella che il nostro corpo necessita, indipendentemente dalle richieste che esso ci pone.

Al tempo stesso, le calamità naturali e i possibili limiti fisici che rendono l’animale un facile bersaglio agli occhi di un predatore sono stati sostituiti da conflitti sociali legati principalmente allo status socioeconomico. Tali dinamiche, agendo da eventi non prevedibili potenzialmente pericolosi per la sopravvivenza dell’individuo, perlomeno in natura, determinano un aumento del rilascio dei mediatori allostatici e una richiesta maggiore di energia (Eo), energia che l’uomo trova facilmente a disposizione sotto forma di cibo. Al contrario della maggior parte degli eventi imprevedibili a cui sono sottoposti gli animali, i conflitti sociali che caratterizzano l’uomo tendono solitamente ad avere una natura cronica che contribuisce a provocare un incremento costante dei livelli di catecolamine e glucocorticoidi, sostanze che tuttavia non vengono più utilizzate non lo scopo di sopperire alla mancanza di cibo, ma che in ogni caso spingono la persona a nutrirsi. Tale situazione è quella che definisce, secondo McEwen, il sovraccarico allostatico di tipo 2.

La ricerca continua di cibo, unita alla sua disponibilità pressochè illimitata, viene gestita dall’organismo attraverso l’accumulo di energia sotto forma di tessuto adiposo, energia che difficilmente verrà consumata come accade per l’animale.

In realtà, va sottolineato come il meccanismo di stoccaggio degli acidi grassi rappresenti l’ennesima strategia utilizzata in natura per mantenere l’equazione favorevole. La possibilità di accumulare energia sotto forma di grassi permette all’animale di attuare comportamenti altamenti adattativi, quali ad esempio la migrazione o il letargo, in grado di mettere l’animale nella situazione rispettivamente di affrontare un lungo viaggio alla ricerca di zone più ricche di cibo o di limitare il proprio consumo di energia durante il periodo invernale. Entrambi rappresentano forme differenti di processo allostatico e permettono di assumere e conservare quantità extra di energia in previsione di una futura scarsità di alimenti. Ciò che avviene nell’uomo è semplicemente l’applicazione di un atteggiamento altamente funzionale in un contesto purtroppo disfunzionale. Il risultato, inevitabile, sarà l’aumento del rischio di obesità e di tutte quelle condizioni patologiche ad esso associate, quali l’incremento dello stress ossidativo, la comparsa di malattie infiammatorie e la presenza di disordini metabolici, uno su tutti il diabete di tipo II legato alla scarsa sensibilità insulinica.

Approfondendo per un secondo il ruolo che lo status sociale riveste ai fini della sopravvivenza, dobbiamo ricordare come questo non sia un fattore esclusivamente umano, ma riguarda piuttosto qualsiasi animale viva in cattività o all’interno di strutture sociali ben definite. Un esempio interessante può essere riscontrato osservando le dinamiche sociali che regolano la vita delle scimmie. Alcuni studi hanno mostrato come, all’interno di società gerarchiche instabili, le scimmie dominanti di sesso maschile presentino livelli di glucocorticoidi e adrenalina particolarmente alti, in grado di predisporli ad un rischio maggiore di problematiche cardiache. Ciò sarebbe dovuto alle stress derivante dalla necessità di mantenere il comando in una società in cui questo viene messo in discussione. Al contrario, nelle società gerarchiche stabili, le scimmie che presentavano il rischio maggiore di patologie cardiovascolari sono quelle subordinate, ai piedi della scala sociale. Quest’ultima condizione, in realtà, può derivare sia da un aumento dello stress sociale (sovraccarico di tipo 2) che da un ridotto accesso al cibo da parte dei subordinati rispetto agli individui dominanti (sovraccarico di tipo 1).

Abbiamo visto quindi come il carico allostatico non sia altro che il costo energetico richiesto all’organismo per adattare la sua morfologia, la fisiologia e i comportamenti alle variazioni ambientali, indipendentemente dalla loro natura climatica o sociale.

Nelle caso in cui il rilascio allostatico di glucocorticoidi e catecolamine si protragga per un intervallo di tempo eccessivo, si andrà inevitabilmente incontro a:

Sovraccarico allostatico di tipo 1 – Se l’energia messa a disposizione dall’ambiente risulta minore rispetto a quella richiesta dal corpo

Sovraccarico allostatico di tipo 2 – Se l’energia fornita dall’ambiente supera di gran lunga quella di cui necessita l’organismo

In entrambi i casi, tuttavia, il rischio è quello di sviluppare patologie cardiovascolari e metaboliche estremamente severe.

Concludiamo infine con una piccola riflessione osteopatica.

La clinica quotidiana e la letteratura scientifica forniscono una buona base per poter sostenere il ruolo che il trattamento osteopatico esercita, all’interno di un approccio terapeutico multidisciplinare, nella gestione del carico allostatico del paziente. Un esempio è dato dai risultati ottenuti relativamente a parametri stressogeni quali l’HRV (Heart Rate Variability) e le IgA salivari.

Alla luce di quanto abbiamo detto riguardo la necessità di un corretto bilancio energetico, possiamo supporre che la disfunzione somatica, se interpretata come un meccanismo adattativo endogeno su base neurologica, soprattutto in presenza di possibili modificazioni plastico-funzionali associate a fenomeni di sensibilizzazione centrale, potrebbe rappresentare un fattore di disturbo tale da provocare un’attivazione cronica dei meccanismi allostatici di cui abbiamo a lungo discusso. Saremmo portati quindi ad identificare la disfunzione somatica come uno degli eventi non prevedibili (Eo) descritti da McEwen, al pari di eventuali conflitti socioeconomici.

In presenza di individui con elevato carico allostatico e una ridotta capacità di adattamento, il carico nocicettivo (e quindi interocettivo) associato alla disfunzione potrebbe essere tale da richiedere all’organismo una quantità ulteriore di energia e un parallelo aumento dell’attivazione allostatica, tanto da accomunare il ruolo della disfunzione a quello di una qualunque altra condizione patologica percepita come limitante la sopravvivenza dell’individuo.

Credo sia superfluo specificarlo, ma ciò non significa assolutamente che il trattamento osteopatico possa annullare il sovraccarico allostatico o che vada proposto come panacea di tutti i mali. Nel caso in cui il problema sia da imputare maggiormente ad eventuali conflitti sociali da parte del paziente, sarà inevitabile focalizzare l’approccio su questo aspetto, chiaramente non di competenza osteopatica. Ciò non toglie, tuttavia, che nei soggetti in cui la disfunzione somatica rappresenti un elemento di disturbo particolarmente rilevante, l’approccio osteopatico possa rivestire un ruolo terapeutico importante, ma pur sempre complementare, nella gestione del sovraccarico allostatico.

In fondo, si tratta semplicemente di includere un’ulteriore variabile alla nostra equazione.

Bibliografia

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