Lo stress come espressione della capacità di adattamento – prima parte

Ricerca e scienza

di Francesco Senigagliesi, Osteopata, Assistente Scuola di Osteopatia AbeOS

Il termine “stress” è da anni ormai di uso comune e definisce solitamente qualunque fattore in grado di determinare un danno all’individuo.

Tuttavia, approfondendo la storia e l’evoluzione del termine, emerge chiaramente come questo sia nato per indicare un fenomeno in parte diverso da quello a cui si pensa solitamente. L’aspetto centrale è proprio questo. Lo stress non definisce un fattore, quanto piuttosto un meccanismo di risposta al fattore, e ciò comporta ovviamente notevoli differenze.

Il merito dell’elaborazione del concetto di stress è da attribuire al medico austriaco H. Selye, il quale lo definì come una risposta aspecifica dell’organismo a fattori stressogeni (stressor) di natura fisica, chimica o psicologica. In particolare, egli notò come l’organismo tende ad adattarsi a stimoli esterni di varia natura attraverso pattern di risposta prevedibili, mediati da assi fisiologici di tipo neuro-endocrino. Tale risposta sistemica va sotto il nome di Sindrome Generale di Adattamento (G.A.S.) e rappresenterebbe lo sforzo generalizzato dell’organismo per adattarsi alle nuovi condizioni. La sindrome G.A.S. mostra come la risposta adottata dal corpo e i sintomi che ne scaturiscano siano in gran parte indipendenti dalla natura dell’agente stressogeno. Selye elenca infatti numerosi fattori stressogeni, includendo agenti chimici, fisici (temperatura, trauma meccanico), dolore, emozioni, esercizio muscolare intenso e attività cognitive prolungate. Lo stress, quindi, non andrebbe visto come un processo dannoso; al contrario, rappresenta un meccanismo fisiologico fondamentale per la difesa dell’organismo contro eventi e agenti potenzialmente lesivi.

Sindrome Generale di Adattamento (GAS)
      Il grafico mostra l’andamento del processo adattativo durante le 3 fasi dello stress.

Secondo la teoria del medico austriaco, la riposta adattativa associabile alla sindrome GAS presenta 3 diversi fasi e sarebbe proporzionale all’intensità e al grado di cronicità dell’agente stressogeno. Nonostante la definizione di fasi ben determinate, egli stesso notò come i tempi e l’evoluzione della sindrome dipendessero principalmente da quella che definì energia di adattamento propria di ogni individuo. Essa determina la nostra capacità di far fronte ai vari stressor contro cui ci troviamo a combattere e risulta ovviamente limitata e destinata ad esaurirsi. Tale capacità di risposta è inoltre influenzata dalla presenza di diversi fattori di condizionamento, interni (eredità, esperienze passate) ed esterni (alimentazione, clima…), determinanti nel modificare l’equilibrio tra l’azione pro e anti-infiammatoria degli ormoni dello stress rilasciati dal surrene.

La variabilità legata ai fattori di condizionamento e alla possibilità di adattamento individuale spiegherebbe il motivo per cui ogni individuo risponde a situazioni o agenti stressanti in maniera differente, attraverso una serie di segni e sintomi provocati dal malfunzionamento della struttura o del sistema maggiormente vulnerabile nel corpo (concetto strettamente correlato a quello dei modelli osteopatici struttura-funzione), in quanto probabilmente già sottoposti a un elevato carico strutturale o funzionale.

Nel sottolineare il ruolo determinante dei fattori di condizionamento, Selye evidenzia l’importanza della percezione e dello stato emotivo della persona. Introducendo i concetti di “distress” ed “eustress”, egli enfatizza come l’efficacia della risposta adattativa non sia determinata da ciò che ci accade, quanto piuttosto dalle modalità con cui reagiamo ad esso, mettendo così in risalto il valore di un’adeguata strategia di coping utile al soggetto per fronteggiare lo stressor nel modo più funzionale possibile.

“It is not stress that kills us, It is our reaction to it”

H. Selye

Seguendo tale logica, Selye interpreta diverse patologie come l’incapacità dell’organismo di far fronte ad eventi stressogeni attraverso risposte adattative adeguate. Queste vengono definite “malattie di adattamento” e comprendono condizioni quali ipertensione, infarto miocardico, ulcere peptiche, cefalea, cervicalgia, asma, alcolismo, obesità e anoressia. La teoria di Selye, differenziando i termini stressor e stress, mostra una chiara contrapposizione tra gli agenti patogeni in grado di stimolare l’organismo e la risposta attuata da quest’ultimo.

Nel tentativo di applicare tali concetti alla pratica clinica, risulta semplice identificare tale dualismo negli approcci terapeutici della medicina tradizionale e di quella osteopatica. Mentre la prima cerca di sostituirsi alla risposta biologica eliminando il patogeno, l’approccio osteopatico mira a sostenerla ed ottimizzarla, mettendo l’organismo nella condizione ideale di portare a termine il processo di guarigione.

Sebbene sia impensabile affermare la superiorità di una scelta rispetto all’altra, è tuttavia possibile valutarne l’idoneità nei singoli casi. Pertanto, in virtù dei principi su cui si basano i concetti di stress e adattamento, possiamo comprendere chiaramente come la scelta di incrementare la risposta adattativa propria dell’organismo possa condurre a un potenziamento dell’effetto terapeutico in tutte quelle condizioni patologiche in cui tale risposta risulti deficitaria.

FINE PRIMA PARTE